In meno di un mese le parole coronavirus, quarantena e pandemia sono entrate nel nostro vocabolario quotidiano. Questa fase epocale ci sta segnando e ci porta inevitabilmente ad avere molta paura. In qualche modo sta lasciando dentro ognuno di noi delle nuove consapevolezze, a cui magari fino a poco tempo fa non avevamo prestato attenzione a causa della vita frenetica di tutti i giorni. In tutto questo sconvolgimento, che ci ha portato a modificare ed adattare il nostro stile di vita in modo da arginare la problematica, ci sono degli aspetti che è stato possibile analizzare meglio.
Se da un lato la tecnologia sta assumendo un ruolo fondamentale, dimostrandosi come un grande passo in avanti, visto i vari sistemi adottati a sostenere lavoro, scuole e università; dall’altro questa dura fase di quarantena ci ha portato sicuramente a riflettere sull’importanza e sul bisogno che abbiamo verso gli altri.
«Gli uomini sono diventati strumenti dei loro stessi strumenti», come afferma Henry David Thoreau ed è proprio questo che non deve accadere!
L’idea nasce sulla base inerente al rapporto uomo-tecnologia e in particolare su come essa influenza, in parte, negativamente le relazioni tra gli individui.
L’utilizzo della tecnologia è ormai una costante nella nostra vita, ci permette di vivere esperienze multiple a livello emotivo e razionale. Tende ad amplificare la portata delle nostre azioni, generando una dimensione parallela. La nostra vita si sviluppa così attraverso una serie di micro-eventi generati dalle tecnologie, che rappresentano un’estensione sempre più imprescindibile dalla nostra esistenza fisica.
Tuttavia, l’uso smisurato di queste tecnologie crea una sorta di dipendenza e scollamento tra vita reale e vita virtuale. Si crea, in altre parole, un distacco tra le persone e la realtà che col passare del tempo potrebbe aumentare, destinandoci ad una sorta di alienazione tecnologica.
Si genera una distrazione e superficialità nelle persone, le quali perdono la profondità del pensiero e non riescono più a dare la giusta attenzione e importanza ai rapporti sociali reali.
In presenza di un dispositivo potenzialmente attivo si vive uno stato di allerta che porta a controllare il telefono più volte anche in assenza di reali segnali.
Tramite una successione parallela di quattro tavole in legno, il progetto viene incentrato attraverso una ripetuta sequenza di colpi, che esprimono il persistente controllo del dispositivo tramite incessanti clic che portano l’individuo ad uno stato di annullamento. Il ritratto dell’uomo viene progressivamente alterato finché completamente irriconoscibile. L’ultima tavola racchiude l’elemento tecnologico preservato in una lastra di plexiglass.
Dal progetto si evince l’utilizzo di due materiali contrastanti: da un lato l’elemento naturale del legno utilizzato per ritrarre l’uomo come essere vivente autonomo destinato a scomparire; dall’altro il plexiglass, elemento artificiale che rimanda al dispositivo che pur non essendo dotato di vasta autonomia persiste nel tempo.
Di fatto siamo diventati tutti più “Smart”! Il Coronavirus ci ha divisi e abbiamo dovuto rinunciare anche ai contatti umani più basilari come stringerci la mano o dare un abbraccio. Ecco che mai come adesso sentiamo la necessità di vivere momenti insieme, di condividere esperienze dal vivo e quindi di non restare attaccati alla tecnologia che vaporizza tutto ciò, facendoci cadere in uno stato di isolamento incosciente.